Muhammad Ali: I’ll show you how great I am

Un secondo prima c’era e un secondo dopo era sparito. Veloce, agile e di una eleganza nei movimenti indescrivibile a parole.

In costante movimento, guardarlo combattere per un intero round ti faceva sentire come il venerdì sera dopo lavoro e con 3 birre medie nello stomaco.

Float like a butterfly, sting like a bee”: vola come una farfalla, pungi come un’ape.
Muhammad Ali, soprannominato “The greatest” (il più grande), viene ricordato per essere stato uno i più grandi campioni della nobile arte del pugilato (se non addirittura il migliore di tutti).

L’infanzia

Cassius Marcellus Clay Jr, nacque a Louisville (città del Kentucky – Stati Uniti d’America), il 17 gennaio del 1942. In giovane età, durante il periodo della crescita, dovette fare i conti con la segregazione razziale.In particolare un episodio lo colpì nel profondo: gli venne negata la possibilità di comprare una bottiglietta d’acqua dal proprietario di un negozio.

Questi episodi lo portarono a vivere con frustrazione il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, spingendolo a compiere atti vandalici su un edificio vicino casa.
Come per ogni storia che si rispetti, arrivò un giorno che cambiò per sempre la vita del giovane Cassius Clay e lo mise sui binari di una nuova avventura.

Era il 1954, Clay stava maledicendo un ignoto ladro per avergli rubato la bicicletta e urlava ai 4 venti vendetta. In quel momento un poliziotto, Louisville Joe E. Martin, passo vicino al giovane Cassius Clay e gli disse che se voleva prendersela con qualcuno prima sarebbe stato il caso di prendere qualche lezione di pugilato.

Così l’agente Louisville portò il giovane alla palestra Columbia, dove iniziò ad allenarsi per boxare.Da subito, fu a tutti chiari che c’era qualcosa di strano in quel ragazzo: un talento simile e un modo di combattere come quello non si era mai visto prima d’allora.

Come amatore, Cassius Clay mise a segno 100 vittorie e solamente 5 sconfitte. Nel 1960 vinse la medaglia d’oro alle olimpiadi di Roma, nella categoria dei mediomassimi. Lo stesso anno debutto come professionista nel mondo del pugilato.

Il professionismo

Fin dagli inizi della propria carriera, Cassius si dimostrò un pugile fuori dall’ordinario. Non solo aveva una tecnica e una velocità sovrumane ma aveva anche un temperamento decisamente sopra le righe.

Era ironico, polemico e irrispettoso tal volta: prima di un incontro infastidiva gli avversari con nomignoli e insulti.8 Il primo incontro venne disputato contro Tunney Hunsaker il 29 ottobre del 1960. Fu la prima vittoria di Cassius.

Dopo quell’incontro, disputò in successione altri 18 incontri, accumulando un record personale di 19 vittorie e 0 sconfitte. Non fu sconfitto nei primi match della propria carriera ma sicuramente quei match non furono una passeggiata.
In diverse occasioni Clay venne mandato al tappeto dagli avversari.

Contro Henry Cooper, Cassius venne mandato al tappeto da un devastante gancio sinistro al volto: la divina provvidenza suonò la campanella che dichiarò la fine del round e salvò il giovane pugile proveniente dal Kentucky.

Il 13 marzo 1963, Clay affrontò Doug Jones. Fu sicuramente il match più difficile disputato fino a quel momento.
Ovviamente vinse Clay. Per decisione unanime dei giudici al Madison Square Garden di New York.
Il verdetto non fu accolto con entusiasmo dal pubblico che cominciò a lanciare tutto quello che aveva sotto mano verso il ring.Ring Magazine elesse quell’incontro come match dell’anno.

Alla conquista della cintura

Nel 1964, arrivò il momento tanto atteso e desiderato per Cassius Clay: la sfida con il campione dei pesi massimi Sonny Liston.

La sfida si svolse il 25 febbraio del 1964 presso la Convention Hall di Miami Beach, Florida, Stati Uniti.

Come suo solito, Cassius non perse l’occasione prima dell’incontro di animare gli animi e scrisse una sorta di poesia/canzone per deridere il proprio avversario.

“Clay esce per incontrare Liston e Liston inizia a ritirarsi,
se Liston torna indietro di un centimetro finirà in un posto a bordo ring.
Clay dondola con un sinistro, Clay dondola con un destro
Basta guardare il giovane Cassius portare la lotta.
Liston continua a sostenere, ma non c’è abbastanza spazio,
È una questione di tempo prima che Clay abbassi il boma.
Poi Clay atterra con un destro, che bella altalena,
E il pugno ha sollevato l’orso fuori dal ring.
Liston si alza ancora e l’arbitro indossa un cipiglio,
Ma non può iniziare a contare finché Sonny non scende.
Ora Liston scompare dalla vista, la folla è sempre più frenetica
Ma le nostre stazioni radar lo hanno rilevato da qualche parte oltre l’Atlantico.
Chi sulla Terra pensava, quando sono venuti a combattere,
Che avrebbero assistito al lancio di un satellite umano.
Per questo la folla non ha sognato, quando ha depositato i suoi soldi,
Che avrebbero visto un’eclissi totale di Sonny.”

Cassius Clay

Tutti davano Clay come sfavorito: la potenza di Sonny Liston era un qualcosa di micidiale.

Lo stesso Clay, a posteriori dichiarò:” Non mentirò, ero spaventato … Lui mi spaventava, sapendo quanto forte colpiva. Ma non avevo alternative, dovevo uscire fuori e combattere”.

Arrivò la sera del combattimento. La campana diede inizio allo scontro da tutti atteso.Sonny partitì subito in quinta marcia e provò a mettere la parola fine all’incontro fin da subito.Tuttavia le cose andarono in modo totalmente differente da quanto ebbe sognato il campione in carica. Cassius schivava i terribili colpi del campione e lo mandava a vuoto: aveva una velocità e un’agilità pazzesche.

Schivava i colpi e poi a sua volte metteva a segno combinazioni di pugni che mandavano in visibilio la folla.

Tutto procedeva al meglio per Cassius, fino al quarto round. Tornate alle corde dal proprio allenatore, disse che gli bruciavano gli occhi e di vedere a malapena l’avversario. Al sesto round Cassius finalmente si riprese e cominciò a scaricare un quantità di pugni impressionanti contro il campione.

Settimo round: Clay è il primo ad alzarsi e andare verso il centro del ring. Alza le mani al cielo e subito parte una confusione generale.

Il telecronista, stupito come tutti, annunciò che Cassius Clay era il nuovo campione del mondo dei pesi massimi.
L’incontro venne vinto per ko tecnico: Sonny Liston si ritirò.
Clay, preso dall’euforia e consapevole di aver compiuto un’impresa storica comincia a urlare “I’m the greatest”: “Sono il più grande”.
Il 27 febbraio 1964, Clay annunciò di essersi convertito alla fede islamica.
Il 6 marzo di quell’anno Clay cambiò nome e nacque la leggenda di Muhammad Ali.

Muhammad Ali vs. Sonny Liston

Venne il momento di parlare di rivincita tra Muhammad Ali e Sonny Liston ma la situazione era molto delicata.
Cassius Clay, quando decise di cambiare nome e di abbracciare la fede islamica, decise di aderire al Nation of Islam.
L’avvicinamento a questo gruppo islamico chiuse tutte le porte degli stadi di Las Vegas e di gran parte del resto degli Stati Uniti.

Finalmente, dopo varie ricerche e complicazioni, la data dell’incontro venne fissata per il 25 maggio 1965 presso il Central Maine Youth Center di Lewiston nel Maine.

Il pugno “fantasma”

Tutto era pronto, la folla sbraitava il nome dei due pugili e così iniziò il primo round.
Passarono circa 60 secondi e Muhammad Ali mise a segno un colpo che a parere di tutti i presenti non era nulla di eccezionale.

Tuttavia, Liston andò al tappeto e scioccò tutto lo stadio.
Lo stesso Ali era incredulo: sembrava sapere di non aver messo la forza necessaria per mandare il proprio sfidante al tappeto.

Muhammad Ali era furibondo, si rifiutava di tornare al proprio angolo! Stava al centro del ring e gridava contro Sonny Liston di rialzarsi.
L’arbitro Jersey Joe Walcott perse il controllo della situazione, cercando di contenere i bollenti spiriti di Ali, si dimenticò di avviare il conteggio a sfavore di Liston.

Passarono ben 17 secondi dall’atterramento di Liston e Walcott fece riprendere il combattimento.

I cronisti e i giudici di gara fecero notare il mancato conteggio dell’arbitro e così Walcott, accortosi dell’errore, dichiarò vincitore Muhammad Ali per ko.
Lo stadio divenne una bolgia, il pubblico gridava alla combina!

Nonostante l’assurdità dei fatti accaduti, la vittoria venne convalidata a Muhammad Ali e Sonny Liston cominciò inesorabilmente a scivolare nel baratro.
Nessuno dopo quella vicenda lo ritenne un pugile temibile o un grande campione.

Gli esperti, anni dopo l’incontro, dissero che il colpo di Ali a breve distanza, andò a colpire in una maniera chirurgica la tempia dello sfortunato Liston che si vide così spegnere la luce.
Venne nominato il pugno fantasma.

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Il rifiuto per la guerra in Vietnam

Dopo aver sconfitto Sonny Liston e aver generato un polverone di maldicenze, Ali difese con successo il titolo di campione per 8 volte di seguito, mantenendosi imbattuto.

Cinque soldati soccorrono un ferito.

Nel 1967 arrivò la chiamata alle armi per fronteggiare la guerra in Vietnam ma Muhammad Ali si rifiutò di prendere parte allo scontro.
Questa presa di posizione ebbe un caro prezzo da pagare.

Ali venne condannato a 5 anni di carcere e venne sospeso dalla carica di campione dei pesi massimi WBA.
Evitò il carcere ma la sua battaglia non fu per niente in discesa.
Sportivamente e politicamente venne messo in croce dall’opinione: ex pugili lo accusarono di disonorare la nobile arte del pugilato.
Molti americano lo accusano di spingere il popolo nero all’insurrezione e alla ribellione.

Gli sponsor lo abbandonano: la presa di posizione morale di Muhammad Ali gli costò milioni di dollari persi in borse e sponsorizzazioni.

Eppure Ali non si piegò, sapeva di essere nel giusto nonostante milioni di persone tentavano di distruggere la sua immagine e la sua reputazione.

Diventò un simbolo di speranza e di lotta pacifica contro l’oppressione dei potenti.

Se una parte “conservatrice” lo odiava con tutta la propria anima, una parte di America lo sosteneva con tutto il cuore: i giovani americani erano dalla sua parte.

Cominciarono i ricorsi e le “lotte” in tribunale. Finalmente, il 20 giugno del 1970, la Corte Suprema della Stati Uniti, si dichiarò a favore dell’astensione dal servizio militare per motivi religiosi.
Il vento di pensiero negli Stati Uniti stava cominciando a cambiare.

Chi rimaneva ancorato invece alle proprie convinzioni era la commissione pugilistica di New York che si rifiutava di restituire la licenza a Muhammad Ali.

Tramite vie secondarie, si riuscì a far ripartire la carriera da pugile di Ali nella Georgia.
Il prezzo più grande che dovette pagare per la lotta delle proprie idee fu forse questo: 3 anni, 7 mesi e 4 giorni lontano dal ring.
Perse il periodo dai 25 ai 28 anni, il periodo d’oro per qualsiasi atleta.

Muhammad Ali vs Joe Frazier

Nel 1971 Ali poté finalmente tornare a combattere.
Vinse con relativa facilità i primi due incontri che lo videro tornare a dare spettacolo sul ring.
Mentre era squalificato e impegnato nella propria battaglia contro il governo degli Stati Uniti, il titolo di Ali venne messo in palio e conquistato da Joe Frazier.

Frazier era un pugile afroamericano che si potrebbe dire l’anti Ali. Era totalmente l’opposto di ciò che era Ali.

Non era un combattente agile o particolarmente veloce: improntava il proprio stile di lotta in un gancio sinistro atomico e in una capacità di incassare colpi spaventosa.
Molti esperti sportivi lo descrivevano come un carro armato che incassa i colpi ma non ha bisogno di fermarsi per continuare la propria inesorabile avanzata.
Vederlo combattere era un qualcosa che faceva paura.

La sua personalità era infinitamente più docile rispetto a quella di Ali: Joe Frazier era un personaggio umile e spesso taciturno, non era solito dare spettacolo al contrario di Ali.
Si vestiva in modo “stravagante” indossando pellicce costose e mettendo in scena il proprio tenore di vita.

Ali per tutte queste ragioni provava un risentimento profondo nei confronti di Frazier: non lo considerava degno di indossare la cintura di campione del mondo dei pesi massimi; lo considerava “uno strumento” a favore del potere bianco.

Si creò così una sorta di odio fra i due opponenti che andava man mano crescendo. Al punto massimo di tensione fra i due arrivò la sfida.

Era il 1971,8 marzo, al Madison Square Garden.

Fu un incontro da 15 round, in cui Frazier fece barcollare più e più volte Ali. All’ultimo round il campione in carica riuscì a mandare al tappeto Ali.

Muhammad Ali si rialzò ma questo non fu sufficiente a garantirgli la vittoria: perse ai punti.

Perse il primo match da professionista.Dopo questa sconfitta Ali affrontò altri 13 incontri, in cui vinse per ben 12 volte e perse solamente contro Ken Norton, rimediando una frattura alla mandibola.

Muhammad Ali vs Joe Frazier II

Dopo il primo incontro tra i due, Frazier perse il titolo in malo modo contro George Foreman.
Al primo round Foreman mandò al tappeto Frazier svariate volte e concluse la pratica con una brutalità animale.

Nonostante Frazier non detenesse più il titolo, la rivalità e l’odio con Ali non terminarono.
Venne fissato nuovamente un secondo incontro al Madison Square Garden, per il 28 gennaio del 1974.
Questa volta lo scenario era totalmente diverso: Frazier cominciava a perdere “colpi”. Non era più in grado di incassare i colpi come un tempo e la sua proverbiale forza andava pian piano diminuendo.

Dall’altra parte invece, Ali era in splendida forma, veloce come un tuono!

Fu il momento di salire sul ring. Frazier provò a scatenare tutta la propria potenza contro Muhammad Ali ma non c’era verso di colpirlo, era letteralmente un fantasma.
Ali stava mettendo in scena quello che più e più volte era solito ripetere:”le mani non possono colpire ciò che gli occhi non possono vedere
Frazier fece appello a tutte le proprie forze e riuscì a rimanere in piedi fino all’ultimo round.La sua faccia sembrava un campo da guerra dopo che è stato bombardato da un plotone di aerei senza nessuna pietà.
Ali vinse ai punti per verdetto unanime.

The Thrilla in Manila

Due incontri non furono sufficienti a dissipare i bollenti spiriti che scorrevano tra Ali e Frazier e venne quindi fissato un terzo e ultimo incontro per il primo ottobre del 1975 a Manila, nelle Filippine.

L’annuncio di questo incontro fu un qualcosa di meraviglioso che molto ricorda un film o un libro: Ali durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Joe Bugner (Ali vinse contro Bugner) dichiarò che si sarebbe ritirato.

Spuntò a sorpresa di tutti l’acerrimo nemico di sempre Joe Frazier che lanciò una sfida diretta ad Ali.
Ali stuzzicato dai giornalisti presenti non si fece desiderare e accettò senza pensarci nemmeno un secondo la sfida lanciata da Frazier.

Questa volta in palio c’era anche il titolo per il campione dei pesi massimi, riconquistato da Ali l’anno prima proprio contro George Foreman.

L’atmosfera per quel match era letteralmente surreale, la tensione era alle stelle.
Fu un match mostruoso, forse il più cruento che la storia del pugilato possa ricordare.
Si piacchiarono a morte: non ci fù nessuna esclusione di colpi. Ogni pugno era carico dell’odio che i due serbavano l’uno per l’altro. Ogni pugno era tirato per mettere fine alla storia dell’altro.
Al 14esimo round, Frazier non era più in grado di vedere: il jab di Ali lo aveva tartassato per tutte le riprese. Eddie Futch, l’allenatore di Joe Frazier, gettò la spugna per il proprio atleta.
Ali quando capì di aver vinto, crollò a terra stremato.

Fu un combattimento che lasciò un’impronta indelebile nella storia e sulla pelle dei due pugili.
Dopo l’incontro a Manila non si sfidarono più, a guantoni per lo meno. Continuarono a stuzzicarsi per anni, ogni occasione che avevano per lanciarsi delle frecciatine non se la lasciavano scappare.

Muhammad Ali vs George Foreman

Dopo aver parlato di The Thrilla in Manila, è il momento per noi di fare una digressione temporale e tornare al 1974.

In quel periodo Foreman aveva battuto tutti i pugili sfidati da Muhammad Ali e per dare ulteriore prova della propria superiorità, volle sfidare Ali in un incontro valido per il titolo mondiale dei pesi massimi.
Ali dal canto suo voleva riconquistare il titolo perso (impresa riuscita a un solo pugile prime di lui).
Venne fissato l’incontro per il 30 ottobre 1974, nello Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo).
Ancora una volta, per gli esperti della boxe, Ali partiva sfavorito contro Foreman.

Il giorno dell’incontro, tutti gli spettatori intonavano il coro:”Ali bomaye” – “Ali uccidilo”.
C’erano tutti gli ingredienti per far si che quella notte scrivesse aggiungesse un’altra magica pagina nei libri di storia dello sport.
La campana annunciò l’inizio dello scontro tra i 2 pugili.

Il match

Ali tradì subito le aspettative di tutto il mondo: tutti si aspettavano di vederlo nella sua solita danza, veloce, rapido, elegante. Non fu così.
Appena cominciato l’incontro Ali si dimostrò insolitamente aggressivo, puntava l’avversario, volevo lo scontro corpo a corpo. Colpì più e più volte l’avversario al volto nel primo round!

Nella seconda ripresa cambiò nuovamente l’inerzia dello scontro: cominciò a sembrare meno aggressivo, più permissivo.
Si faceva chiudere agli angoli da Foreman e incassava i colpi potentissimi dell’avversario, senza quasi porre resistenza; si limitava solamente ad accompagnare i pugni e a schivare ciò che riusciva.

Nelle fasi corpo a corpo, stringeva la testa dell’avversario e lo provocava.
Esattamente, nessuno ci stava più capendo niente.
Ali stava subendo la furia di Foreman ma lo invitava a fare meglio?

Foreman a queste provocazione perse la testa e cominciò a colpire con tutta l’energia che gli scorreva in corpo. Ali lo colpiva con pugni veloci al volto quando non era impegnati a districarsi alle corde con i colpi dell’avversario.
Quei colpi veloci aprirono in tempi brevi ferite sul volto di Foreman.
Foreman cominciò a essere provato fisicamente: tutta l’energia messa nei colpi, le provocazioni di Ali e i ripetuti colpi al volto lo stavano lentamente prosciugando.

Al quinto round, Muhammad Ali cominciò a raccogliere quanto seminato.
Mise a segno una raffica di pugni e una serie di combinazioni che fecero vacillare l’avversario.

Lo stadio stava esplodendo!
Nessuno riusciva a cogliere appieno come ci stesse riuscendo ma Ali stava trascinando Foreman nel baratro. Ottava ripresa.
Gancio sinistro di Ali combinato in rapida sequenza con un diretto velenoso al volto di Foreman.
L’avversario di Ali cade al tappeto, partì il conteggio.
George Foreman non riuscì a rialzarsi in tempo.

Muhammad Ali si ricandidò campione dei pesi massimi, tornando in vetta alla boxe.
Vinse e lo fece con una prova di astuzia e strategia sportiva mai vista prima di allora.
Scelse deliberatamente di lasciarsi colpire da Foreman alla corde per attutire i colpi e per far stancare l’avversario.
Ali stesso nominò questa strategia come rope-a-dope.

L’incontro con George Foreman passò alla storia come: “The Rumble in the Jungle”, letteralmente la “rissa nella giungla”.

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Gli ultimi match

Dopo aver sostenuto incontri epici e leggendari, Alì dovette fare i conti con l’irrefrenabile morsa del tempo che scorre.
Nel 1976 il suo fantasmagorico gioco di gambe non era più quello di un tempo. Alla stessa maniera la sua formidabile velocità e agilità cominciavano a venire meno.

Tuttavia, il suo spirito lottatore non volle darsi per vinto e continuò a dare spettacolo.

Nel 1977 vinse due incontri: uno con  Alfredo Evangelista e uno splendido match contro Earnie Shavers. In particolare, l’incontro con Shavers fu molto cruento e fisicamente tassante per Ali.

Nel 1978 arrivò la sconfitta con conseguente perdita del titolo contro Leon Spinks.
A 36 anni Muhammad Ali aveva conquistato e dimostrato tutto ciò che si può conquistare e dimostrare nel mondo della boxe, per certi versi lo aveva fatto talmente bene da farlo soprannominare da chiunque “The Greatest”, il migliore.

Nonostante l’età, non volle sentire ragione e sfidò nuovamente Leon Spinks, riconquistando per la terza volta il titolo di campione dei pesi massimi.
Conquistato il titolo decise quindi di appendere i guantoni al chiodo e di ritirarsi.

Non trovò tuttavia la pace sperata in questo ritiro, probabilmente sentiva ancora di poter dare qualcosa al mondo del pugilato o semplicemente sentiva bruciare ancora dentro di se la “fiamma del campione”.

Tornò a combattere nel 1980 in una pessima condizione fisica. Perse in quell’anno un incontro con Larry Holmes, per abbandono.L’anno seguente disputò l’ultimo match della propria carriera. Era l’11 dicembre del 1981, Bahamas.
Perse per decisione unanime contro Trevor Berbick.

I guantoni di Muhammad Ali appesi al muro.

Il morbo di Parkinson

Tre anni dopo il ritiro, venne diagnosticato ad Ali il morbo di Parkinson, la cosiddetta “malattia dei pugili.

Nel 1996 portò la fiamma olimpica alle olimpiadi di Atlanta e commosse il mondo intero.
In piedi, al centro del palco, in preda ai tipici spasmi del morbo di Parkinson, reggeva con sguardo fiero la fiamma delle olimpiadi.
Per onorare l’incredibile carriera, il grande impegno morale nelle battaglie contro la segregazione razziale, in quella edizione dell’olimpiade, ricevette la riconsegna di una medaglia d’oro, in memoria del primo posto conquistato da Ali nelle olimpiadi di Roma del 1960.

Dal 1985 si impegnò con forza per far aumentare la conoscenza e la consapevolezza della malattia del morbo di Parkinson e per garantire fondi alle ricerche.

Riconoscimenti

Fu eletto pugile dell’anno dalla rivista the “Ring Magazine” nel 1963, 1972, 1974, 1975 e 1978.
Sempre per la rivista the “Ring Magazine” è stato il miglior peso massimo di sempre.

Vinse 61 match (37 di questi per ko prima del limite) e ne perse solamente 5, arrivando ad avere un record personale molto simile a Rocky Marciano.

L’International Boxing Hall of Fame lo ha inserito nella lista dei pugili migliori di tutta la storia della boxe.
Molte riviste lo hanno eletto come sportivo del ‘900!
Nel 2005 ha ricevuto dal presidente degli Stati Uniti la Medaglia presidenziale della libertà, la massima onorificenza per gli Stati Uniti d’America.
Sempre nel 2005 ha ricevuto la medaglia per la pace dalle Nazioni Unite.

Nel 2016, all’età di 74 anni, Muhammad Ali, dopo una vita di battaglie dentro e fuori dal ring, ha appeso definitivamente i guantoni al chiodo.
Milioni di persone lo ricordano per essere stato un punto di riferimento e di speranza.
Tutto il mondo lo ricorda per essere stato “The Greatest”.

Ho odiato ogni minuto di allenamento, ma mi dicevo ‘Non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita come un campione!’

Muhammad Ali
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